29
Ott

Assemble. L’architettura può cambiare (in meglio) l’uomo

Il collettivo interdisciplinare di Londra ci ha parlato della sua filosofia, dei progetti recenti e del lavoro quotidiano.

fonte: www.domusweb.it

Londra

“Ci interessa usare design e architettura per arricchire la vita quotidiana, renderla più gioiosa, varia e malleabile. Vogliamo consentire alla città di accogliere una più ampia varietà di esigenze e stili di vita e supportare diversi bisogni e significati”. Con Amica Dall di Assemble abbiamo parlato del loro approccio, dei loro progetti, delle ambizioni e del lavoro quotidiano. Riassumiamo le nostre impressioni in tre parole chiave.

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Responsabilità. La conferenza si svolge in maniera inusuale. Comincia mostrando un progetto dello studio dRMM, fresco vincitore del RIBA Stirling Prize. Attraverso il caso studio vuole mostrare il possibile ruolo dell’architetto nella società contemporanea. Non è  la solita spiegazione dei  progetti realizzati: il discorso di Dall affonda nella geografia umana e nell’economia politica. Sullo sfondo, in rapida successione, passano le immagini delle diverse esperienze, dando un’impressione visiva del discorso piuttosto che illustrare i singoli progetti.

Assemble propone una riflessione generale su cosa significa abitare la città oggi. Prova ad articolare in modo nuovo la triade uomo-strumento-società, per cui “Ognuno di noi si definisce nel rapporto con gli altri e con l’ambiente e per la struttura di fondo degli strumenti che utilizza”(1). Dall cita David Harvey: “Il diritto alla città non può essere ridotto a un diritto individuale di accesso alle risorse concentrate nella città stessa: deve essere il diritto a cambiare noi stessi cambiando la città, in modo da renderla conforme ai nostri desideri. È perciò un diritto collettivo più che soggettivo, in quanto, per cambiare la città, è necessario esercitare un potere collettivo sul processo di urbanizzazione”. Assemble lavora in contesti marginali, residui di un’urbanistica ormai votata solo al profitto. Collabora con non profit, fondazioni filantropiche, associazioni culturali, comunità e istituzioni locali – per ricucire gli strappi del tessuto urbano.

Interdisciplinarità. Tra i diciotto membri del collettivo non ci sono solo architetti e designer, ma anche artigiani e laureati in psicologia e letteratura. L’approccio di Assemble non è incasellabile in un ambito specifico. Per Amica Dell l’architetto  è colui che “Non pensa solo alla forma, ma crea le condizioni che permettono al progetto di essere realizzato, lavora con le comunità locali e le stimola a prendere mettere a fuoco i problemi e a prendere decisioni. Cerca finanziamenti, sviluppa concept e business plan. In generale l’architetto è in grado di fornire uno spettro ampio di servizi.” Il progetto che descrive meglio la trasversalità delle loro competenze è sicuramente Granby Four Street, un piano di riqualificazione urbana a nord di Liverpool di cui Assemble ha seguito tutte le fasi, dal masterplan alla realizzazione di arredi e decorazioni per gli interni delle case.

Qui, il gruppo ha in gestione un laboratorio di rigenerazione urbana in cui, insieme ai cittadini, ristruttura le abitazioni e gli spazi pubblici del quartiere, realizzando “Piastrelle per il bagno, maniglie delle porte e caminetti – nuove componenti architettoniche che riflettono la cura, i valori e la creatività investiti in queste abitazioni. Con questi primi progetti il laboratorio ha sviluppato un modello di progettazione e produzione che consente di realizzare prodotti di qualità mantenendo la loro unicità. Tutti gli oggetti prodotti sono infatti diversi.”

Pragmatismo. L’aspetto che più stupisce di Assemble è la sua concretezza e la qualità che lo studio riesce ad esprimere in ogni aspetto del progetto. Questo richiede uno sforzo notevole e costante nello studio e nel disegno dell’architettura. Dall ammette: “La nostra pratica è mista, ma dedichiamo molto tempo, la maggior parte della giornata, alla progettazione”. Dunque niente pallet che diventano panchine né copertoni improvvisati a fioriere. L’architetto deve prendersi la responsabilità della qualità di come la visione collettiva si concretizza spazialmente. Assemble ha una visione molto pragmatica del processo collaborativo, che spesso può degenerare ne “L’incubo della partecipazione”.

Dice Dall: “Invitare qualcuno a collaborare è per noi un atto autoriale, e non si può fare senza avere idea di cosa può accadere. Condividere un progetto serve a farlo crescere e diventare più ricco. Inoltre, una collaborazione non è una negoziazione su cosa e come progettare. Serve piuttosto a definire problemi insieme. Riteniamo fondamentale passare tanto tempo nel contesto e insieme alle comunità, bisogna immergersi nella realtà in cui si opera.” Infine, quello che ci sorprende dello studio è la sua efficienza e la radicale democrazia interna del gruppo di lavoro, per cui compiti e retribuzioni sono distribuiti in maniera orizzontale. Mettere insieme diciotto teste in questo modo sembra un esercizio impossibile, che riesce grazie a una grandissima auto-disciplina e a un’organizzazione dei ruoli rigorosa. Quello che di più importante il collettivo ci lascia è una dimostrazione di etica del lavoro, in totale coerenza con i principi di democrazia urbana che promuove. Se Harvey dice che possiamo “Cambiare noi stessi cambiando la città”  per Assemble possiamo anche cambiare i termini: cambiare la città cambiando noi stessi.

L’inconto con Amica Dall è avvenuto in occasione di una recente conferenza organizzata dalla Fondazione per l’Architettura di Torino, curata dal critico Davide Tommaso Ferrando. Amica Dall è un membro del collettivo inglese Assemble. Il gruppo interdisciplinare, formato da diciotto membri che a stento superano i trent’anni, è noto per aver vinto il Turner Prize, il più prestigioso premio di arte contemporanea del Regno Unito.

(1)   Ivan Illich, La convivialità, Mondadori, Milano, 1974