RIABITARE I RICORDI
Ho trovato questo scritto di mio nonno, a cui ho voluto un bene che va oltre me stessa. Ve lo trascrivo, così come l’aveva scritto lui.
Mio nonno ha vissuto una vita piena ed era molto orgoglioso di quello che era riuscito a fare. Aveva la quinta elementare ed era carabiniere. Era generoso e divertente. Diceva sempre “nella vita, ho avuto fortuna, ma c’ho anche saputo fare”.
Rileggendo il suo scritto penso a lui, in quegli anni terribili della guerra, agli anni successivi, al coraggio che ha avuto; a come nella vita, nonostante tutto, valga sempre la pena. In quegli anni, in tutti quegli spostamenti, si sarà mai sentito “a casa”? Si sarà sentito appartenere a qualche cosa? Avrà mai abitato da qualche parte, qualche cosa, qualcuno?
Nonno Francesco SCIAMPAGNA: ricordi
“Aprile 1938. Chiamato come soldato di leva arma bersagliere nella città di Napoli. Congedato nel settembre dello stesso anno, potendo beneficiare di una legge che diceva che chi avesse avuto altri due fratelli alle armi, il terzo poteva beneficiare di un anno di militare. In questo caso ne ho beneficiato io, che ero il terzo.
Richiamato il 10 Giugno 1940, il giorno stesso dell’inizio della seconda guerra mondiale, destinazione Napoli, I° Reggimento Bersagliere. Da lì mi mandano nella Provincia di Benevento. Dopo un anno, a Capri, dopo un periodo di pochi mesi, a Roma. Anche qui pochi mesi e poi mi mandano a Lodi, vicino a Milano. Siamo nel novembre 1942. In attesa di ordini per la partenza per la Russia. Nel periodo in cui ero a Napoli, avevo inoltrato una domanda per arruolarmi nei Carabinieri con la firma di congedarmi sei mesi dopo la guerra. Per l’appunto, nel mese di dicembre, mi chiamano per andare a fare il corso a Palermo. Il 23 dicembre lascio Lodi per andare a Palermo. La sera di Natale mi trovo a Paola e, nell’occasione, approfitto per fare la vigilia di Natale con i miei genitori. Tutto è andato bene , non vi nascondo la gioia di tutti i miei. Nel pomeriggio del giorno di Natale arrivo a Palermo per frequentare il corso di carabiniere: il 25 dicembre 1942. Dopo tre mesi di corso mi mandano a Trieste: marzo 1943.
8 settembre 1943: l’armistizio. Pareva che la guerra fosse finita. Ma lo stesso giorno il comando tedesco occupa la nostra caserma e tutti i carabinieri, uno alla volta, vengono interrogati. Vogliono sapere se siamo disposti a collaborare con loro altrimenti ci portano in Germania, e con questa paura, tutti noi abbiamo accettato di collaborare.
Dalla sera stessa, sei carabinieri per volta, notte e giorno, sorvegliamo un albergo che ospita tutti gli ufficiali germanesi. Questo albergo si trova vicino alla stazione ferroviaria. Dall’ 8 settembre al 13 settembre tutti i militari sbandati italiani, li prelevano dai treni e li portano in Germania. Ma nel giorno 13 settembre, mentre sono di servizio, vedo che i tedeschi lasciano partire. Mi informo bene e decido di scappare. Alle 20 smonto dal servizio, vado in caserma e prendo una piccola cena. Mi incammino verso la stazione, non prima di recarmi in un bar di fronte alla caserma, dove ho nascosto gli abiti civili. Il treno parte alle ore 21,10. Arrivo al momento della partenza. Il treno è zeppo e sono tutti carri merce.
Dopo due giorni arrivo a Ferrara. Una lunga sosta. Nel frattempo chiedo qualche informazione, mi rivolgo ad un ferroviere . Con grande sorpresa il ferroviere è uno di Pedace. Anche lui era a Trieste, in qualità di soldato. Indossa un cappello da ferroviere per raggirare i tedeschi. Ci abbracciamo, con l’impegno di arrivare a Pedace insieme, affidati al buon Dio. E’ il 15 settembre, quando iniziamo il nostro rientro a piedi. Passiamo Bologna; di là andiamo a Pescara, con molto pericolo dei tedeschi. Quasi ci beccano, siamo fortunati perché abbiamo avuto la possibilità di nasconderci nella campagna ricca di alberi, fino alla notte. Per giorni vaghiamo lungo la campagna. Nel tragitto molti contadini ci consigliano dandoci anche da mangiare, anche se questo non è un problema perché nelle campagne c’è molta frutta e di fame non si soffre.
Nella provincia di Avellino vi è il fronte, dove i tedeschi e americani si fronteggiano lungo una montagna. Gli americani con gli aerei e i tedeschi con la contraerea. Per noi non c’è alternativa, dobbiamo passare per forza dove ci sono i tedeschi. E con il cuore che palpita affrontiamo la salita per oltrepassare la montagna a più riprese. Passiamo dove ci sono i tedeschi. Li salutiamo e loro rispondono al saluto. Il pericolo è scampato. Adesso attendiamo di incontrare gli americani. Dopo un giorno di cammino, infatti, lasciati i tedeschi a Potenza, troviamo gli americani. Siamo sicuri che il pericolo sia davvero scampato. Gli americani, trattandoci molto bene, vogliono sapere quando abbiamo visto i tedeschi. Dopo tanti sacrifici, alla fine di settembre, arriviamo a Pedace con tanta gioia da parte nostra e della nostra famiglia.
Per circa una settimana rimango in casa, dopodiché per legge mi devo presentare alla legione carabinieri di Catanzaro. Vengo interrogato sul motivo della mia fuga. Faccio presente che mi trovavo sotto il comando tedesco ed è per questo che ho preferito scappare. Non mi rimproverano. Mi assegnano per servizio alla legione stessa come motociclista. In seguito, dopo un anno, vengo nominato autista del comandante della legione. Nel mese di ottobre del 1945 termino la mia firma. Devo decidere se rimanere o andare a casa. La scelta è quella di tornare a casa, perché per sposarmi avrei dovuto aspettare altri tre anni circa. Così torno a casa, dedicandomi al mulino. Il 30 dicembre dello stesso anno, mi sposo.
Nell’inverno del 1946, a Pedace, ci sono le elezioni comunali, dove vengo eletto consigliere di minoranza. Con dodici amici formo una cooperativa di genere alimentare. Ne sono il presidente. Ma per ragioni burocratiche, per quattro mesi, non siamo riusciti ad aprire.
Nel mese di maggio 1946, mi richiamano per sei mesi nell’arma dei Carabinieri, perché vi è il referendum per la Repubblica o la Monarchia. Scaduti i sei mesi mi domandano se voglio passare effettivo. Dato che il lavoro al mulino è molto diminuito e sono sposato, decido di mettere la firma per rimanere. Credo sia una cosa saggia.
Nel 1949 vado a Roma con lo stesso colonnello, divenuto generale e ci rechiamo al comando generale. Dopo sei mesi prego il generale di mandarmi a Cosenza, dove riesco ad andare dopo molte insistenze, sempre come autista del comandante del gruppo.
Nel 1955 ottengo una casa popolare di cinque stanze. In seguito, colleghi invidiosi mi fanno tanti esposti anonimi, perché in base al regolamento, il carabiniere non può essere di servizio nella stessa provincia di nascita.
Mi trasferiscono.”
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